Bear Market – la ritirata del Toro
Tecnicamente alcuni operatori hanno già cambiato il loro modo di spiegare quanto sta succedendo ... sostituendo il termine Correzione con quello di Bear Market (mercato Orso), facendo riferimento alla condizione di mercato in cui i prezzi dei titoli sono in diffuso calo e il pessimismo ...
Tecnicamente alcuni operatori hanno già cambiato il loro modo di spiegare quanto sta succedendo sui mercati finanziari sostituendo il termine Correzione con quello di Bear Market (mercato Orso), parole ormai normalmente utilizzate nel linguaggio comune. Con questi due termini si fa riferimento alla condizione di mercato in cui i prezzi dei titoli sono in diffuso calo e il pessimismo si fa strada con un effetto negativo che diventa contagioso. Come normalmente succede quando i rialzi chiamano gli acquisti, in questo caso le perdite chiamano le vendite in un listino cedente. Gli operatori chiamano Correzione una perdita di un indice intorno al 10% mentre si parla di Bear Market quando la flessione supera il 20%. Non vengono in realtà fatti riferimenti all'arco temporale in cui questi movimento si presentano, ma la discesa dopo l'ultimo livello apre un periodo di un mercato Orso con l'inversione del trend rialzista e la "ritirata del Toro".
La pesante retromarcia delle borse
Le avvisaglie erano state chiare nell'estate del 2015 quando un'importante correzione aveva colpito i principali mercati azionari con un epicentro nel listino cinese di Shanghai; correzione che si è lentamente riassorbita nei mesi successivi. L'avversione al rischio è aumentata in modo evidente in questa prima parte di gennaio facendo scattare ripetuti automatismi di vendita su molti portafogli vincolati da budget di rischio. Il meccanismo si dimostra ancora una volta imperfetto soprattutto quando il mercato si trova ‘tutto da una parte' e la reazione di vendite a catena non trova supporto da parte dei compratori che, con calma, aspettano prezzi più bassi. Nei primi venti giorni dell'anno l'indice globale azionario, MSCI world in valuta locale, ha perso circa il 10% mentre quello degli Emerging Markets è sotto di circa il 12%; i crolli più violenti sono stati per i listini di Shanghai e Tokio, che avevano chiuso in ampio territorio positivo il 2015. Seguendo la logica degli analisti la situazione rispecchia quanto avvenuto nell'agosto dello scorso anno con due driver principali: la svalutazione dello Yuan cinese e la discesa del prezzo del petrolio.
La Cina verso un rallentamento programmato?
Se il timore principale quale regolatore di una repentina svalutazione della valuta cinese, può essere l'hard landing ovvero l'impatto duro sull'economia, il dato sulla crescita del PIL in Cina del quarto trimestre 2015 a + 6,8% sarebbe il segnale di un errore valutativo; nel suo complesso lo scorso anno la Cina ha messo a segno un +6,9%. Nel 2014 in realtà l'aumento era stato del 7,3% e negli anni addietro anche oltre il 10%! E' vero che rileviamo il tasso di crescita più basso degli ultimi 15 anni, ma attenzione stiamo pur sempre parlando di numeri assoluti diversi da 15 anni fa e che oggi rappresentano il secondo PIL a livello globale; dobbiamo anche sottolineare che stiamo parlando di tassi che sono multipli rispetto alle maggiori aree sviluppate come ad esempio per l'Eurozona. Anche sul tema delle prospettive le indicazioni del governo rimangono per un tasso costante di sviluppo per i prossimi anni del 6,5% e, visto i precedenti, potrebbe di fatto essere un indicatore sostenibile.
Yuan: una svalutazione dettata dalla flessibilità
La svalutazione dello Yuan è comunque propedeutica alla liberalizzazione del sistema finanziario cinese e all'ingresso dello stesso nel paniere delle valute convertibili del Fondo Monetario Internazionale previsto in autunno. Se invece vogliamo trovare un punto vero di attenzione questo riguarda l'indebitamento complessivo del paese che in termini assoluti è più veloce della crescita economica e recentemente ha raggiunto il 280% del PIL. In una logica di riequilibrio quindi è ragionevole pensare ad una fluttuazione dello Yuan, ma banalmente anche alla necessità di un deleveraging del debito nel medio termine.
Cosa nasconde la caduta dei prezzi petroliferi?
Se fino a qualche tempo addietro un modo per coprirsi dal rischio geopolitico era acquistare contratti a termine su petrolio ed oro in questo momento la relazione è da ritenersi inefficace. Sul calo del prezzo del petrolio gli operatori vedono un aumento degli effetti negativi delle società appartenenti al settore, in alcuni casi sull'orlo del fallimento e obbligate a finanziamenti a tassi molto elevati; inoltre il problema si sta estendendo ai bilanci fiscali dei paesi esportatori e con un forte contagio ai prezzi di tutte le materie prime industriali. Secondo i recenti sondaggi negli Stati Uniti la forte caduta del prezzo del Brent (-75% in 18 mesi) ha fatto aumentare le probabilità di una fase recessiva in avvicinamento dal 10 al 20% in pochi trimestri.
Petrolio: manca ancora un equilibrio tra domanda e offerta
In una logica più pragmatica i prezzi del petrolio sono sotto pressione per l'aumento di offerta e dalla incapacità dei paesi produttori di trovare un accordo per ridurre momentaneamente la produzione. Ad aumentare la tensione sono state le nuove iniziative diplomatiche degli Stati Uniti che, a fronte di un blocco del progetto nucleare, hanno revocato le sanzioni all'Iran aprendo la possibilità di immettere nuova offerta di greggio su un mercato già sovrabbondante. Difficile oggi stabilire un livello di prezzo ottimale vista l'ampia volatilità e la nuova offerta; il contratto Brent Future Dic22 è quotato 48,44$ rispetto allo spot odierno di 28$. Un'analisi invece da non sottovalutare vede nel basso costo dell'energia un aumento del potere di acquisto dei consumatori e un dato molto positivo nel medio termine per i paesi importatori.
Panico da vendite: l'atteggiamento peggiore per prendere decisioni
In sintesi il dubbio degli Strategist è di trovarsi in una completa sottovalutazione di questi segnali che potrebbero nascondere un avvitamento recessivo dentro le pieghe ancora nascoste dei paesi emergenti, l'incapacità di accelerare la crescita delle aree sviluppate ed eventi geopolitici inattesi, o in verità in caso di Correzione la semplice "sovrareazione" degli operatori che vedono con l'aumento dei tassi di interesse della Fed l'obiettivo della banca centrale statunitense di un disimpegno graduale, seppur necessario, per una normalizzazione del sistema.
Ad oggi pare difficile essere oggettivi, quello che sembra più ragionevole è avere qualche dato in più prima di prendere decisioni strategiche sul portafoglio di investimento che rimane comunque conservativo, senza lasciarsi coinvolgere dalle reazioni di panico che possono prendere il sopravvento.
20 gennaio 2016
Corrado Caironi - Investment Strategist di R&CA
Il valore dell'investimento o il rendimento possono variare al rialzo o al ribasso; un investimento è soggetto al rischio di perdita. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri.