Economia o Finanza: chi guida il ciclo?
Anche se il cambiamento di scenario sembra essere più trasparente ... il processo di normalizzazione del mercato finanziario fa fatica ad avviarsi. I gestori di portafoglio così come i consulenti non vogliono perdere l’ultima “gamba” positiva dei mercati finanziari ...
Il caso del Bund tedesco
La maggiore preoccupazione degli Strategist di portafoglio è quella di non riuscire a percepire gli eccessi del mercato finanziario e dover rincorrere aggiustamenti in momenti in cui tutti "corrono" nella medesima direzione, mettendo in secondo piano i ‘fondamentali' (variabili macroeconomiche). Il caso più evidente è stato il recente movimento del Bund, il governativo decennale tedesco, che aveva raggiunto un rendimento minimo di soli pochi centesimi dopo la partenza del Quantitative Easing della Banca Centrale Europea (BCE) nel marzo scorso ed ora è tornato vicino all'1% (era all'1,5% un anno fa) con un ridimensionamento evidente delle performance. La decretata fine del pericolo "deflazione" per l'area Euro, ben presentata dal presidente della BCE Mario Draghi, ha spazzato via la speculazione che proprio degli acquisti mensili della banca centrale ne aveva fatto la sua ragione, e riportato in luce un premio per il rischio di ‘duration' obbligazionario che nel tempo dovrà fare i conti con le attese di inflazione e una normalizzazione del mercato monetario.
Stime fortemente errate negli Stati Uniti
In questo periodo ci sono stati inoltre due aspetti che non hanno convinto economisti e analisti finanziari riguardo alla recentemente pubblicazione di dati negli Stati Uniti ovvero, quello relativo al calo del GDP nel primo trimestre, e quello sulla Earning Season delle società quotate. Il primo riguarda il differenziale delle previsioni sulla crescita economica statunitense che dopo il risultato negativo del primo trimestre, – 0,7%, sono passate per l'intero 2015 da + 3,3%, previsto nel dicembre scorso, agli attuali + 2,4%. Il secondo riguarda la profittabilità delle società che ha trovato un esito contrario: i profitti annunciati dalle società dell'indice S&P500 a fine trimestre sono stati del 6% superiori alle stime, un risultato così divergente non si riscontrava dal primo trimestre del 2012.
Petrolio nel mirino degli analisti
Nella realtà uno dei temi che sembra aver distorto le previsioni sembra sia stato il forte calo dei prezzi energetici che dal lato della crescita domestica Usa prevedeva un aumento dei consumi, poi non avveratosi, e dall'altro il crollo dei profitti del settore energetico che comunque si è trasformato in un fattore positivo di utili in altri settori.
Consumi deludenti
Partendo proprio dall'analisi del calo dei consumi rispetto ad attese di un aumento degli stessi, le analisi storiche mettono in luce che non esiste una relazione diretta ed immediata, nonostante l'attuale calo della benzina alla pompa statunitense sia stato molto ampio, oltre il 45% negli ultimi dodici mesi. Nel complesso gli analisti stimano che il risparmio di spesa da minor costo energetico per le famiglie Usa sia nell'ordine di circa 97 mld di dollari e che almeno la maggior parte fosse finalizzata dalle famiglie ad altri consumi. Nelle analisi, in sintesi, tale atteggiamento sembra giustificato da alcuni fattori comportamentali quali ad esempio: - la caduta del prezzo ha bisogno di essere consolidata in un tempo ragionevole perché venga recepita come strutturale nel bilancio familiare; - la percezione che la caduta del prezzo nasconda una crisi: la famiglia aumenta la sua quota di risparmio anziché aumentare la spesa in attesa di conferme sulla prospettive economiche; - l'aumento di spesa nei consumi è indirizzato sui beni che traggono maggior beneficio dal calo dell'energia e solo nel tempo si espande ad altri settori di consumo.
Attesa una spinta nel secondo semestre
L'analisi che prende in considerazione eventi precedenti del tutto simili, con cadute di prezzo del petrolio almeno superiori del 30% (1986-88, 1990-91, 1997-98, 2001, 2008), proietterebbe il calo dei costi energetici di fine 2014 in un beneficio dei consumi reali nella seconda parte del 2015. La volatilità dei dati di fiducia a livello globale dimostra infatti quanto rimanga incerto il contesto economico internazionale con una chiara difficoltà degli economisti di produrre stime attendibili; al momento gli analisti finanziari cercano di tracciare le tendenze attraverso le esperienze precedenti, che nella logica degli operatori diventano comunque un buon riferimento per orientarsi nel movimento dei flussi di investimento.
La volatilità effetto imbuto sugli assets meno liquidi
Anche se il cambiamento di scenario sembra essere più trasparente secondo quanto riportato dai banchieri centrali, Draghi per la BCE e Yellen per la Federal Reserve statunitense, il processo di normalizzazione del mercato finanziario fa fatica ad avviarsi. I gestori di portafoglio così come i consulenti non vogliono perdere l'ultima "gamba" positiva dei mercati finanziari, ancora invasi dalla liquidità, anche se è già pronto il piano di intervento che deve tener conto del rischio di un improvviso cambio di verso. Come molti Strategist suggeriscono è meglio procedere ad una graduale riduzione dell'esposizione alle attività più rischiose, che hanno avuto importanti performance, prevenendo ondate di volatilità che diventano un imbuto sugli asset finanziari meno liquidi. Il processo di ribilanciamento che molti gestori hanno già iniziato a fare è essenziale per decongestionare e rendere più allineate le basi valutative in linea con le prospettive delle variabili macroeconomiche.
4 giugno 2015
Corrado Caironi – Investment Strategist di R&CA
Il valore dell'investimento o il rendimento possono variare al rialzo o al ribasso; un investimento è soggetto al rischio di perdita. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri.