Calo di sintonia tra Draghi e la "Core Europe"
Pubblicato il 03.11.2016
Ci si era quasi dimenticati delle proposte circolate qualche anno fa sullo sdoppiamento dell'Euro, versione accomodante per un'Europa a due velocità: una costituita dai paesi ‘germano-centrici' con una valuta forte e una periferica con una moneta debole e capacità di convergenza solo in un tempo successivo. In verità dalla primavera del 2014 l'Euro si è molto indebolito passando dal tasso di cambio Eur/Usd di 1,38 agli attuali1,10 (una svalutazione di oltre il 20%) anche per effetto di una politica monetaria non convenzionale della Banca Centrale Europea. Le preoccupazioni della parte ‘core' dell'Eurozona che trovano le iniziative del governatore Mario Draghi non in grado di generare una crescita economica sostenibile trovano un aumento dei toni tra i rappresentanti degli stati centrali europei. Sono sostanzialmente tre i punti di attenzione al centro della discussione ovvero una politica fiscale che non ha bloccato l'aumento del debito pubblico in aggregato, il rischio sui Titoli di Stato acquistati con i programmi della BCE e le preoccupazioni di una bolla finanziaria in caso di normalizzazione dei rendimenti.
Draghi: "Whatever it takes"
La critica che vede la forte espansione monetaria annebbiare la politica riformista degli stati periferici rimane nei numeri di una crescita economica debole e di un mercato del lavoro dell'Eurozona che presenta un tasso di disoccupazione sopra il 10%, contro il 5% degli Stati Uniti. Gli interventi monetari e la determinazione di Draghi col "whatever it takes" hanno di fatto allontanato la pressione esterna sui rifinanziamenti dei debiti sovrani periferici che aveva fortemente attivato nel 2011 la necessità di un cambio di trend sui deficit e di rientro dei debiti pubblici. Inoltre gli acquisti di Titoli di Stato della BCE non solo hanno spinto i rendimenti dei titoli tedeschi in territorio negativo, ma hanno riportato su livelli molto bassi gli spread contro Bund delle emissioni dei titoli sovrani periferici. D'altro canto l'accantonamento dei progetti di ridimensionamento dei debiti pubblici ha riaperto le porte ad una espansione fiscale atta a riattivare una ripresa economica asfittica.
La BCE attesa alla proroga del QE
La seconda perplessità riguarda la crescente concentrazione di rischio sul bilancio dell'Eurosistema per effetto degli acquisti di titoli che dovrebbero raggiungere i 2.000 mld entro marzo 2018, salvo una proroga peraltro molto attesa dai mercati. I detrattori indicano nelle loro preoccupazioni il possibile caso di ristrutturazione del debito di un membro dell'eurozona con le passività della banca centrale nazionale da ripartire anche sui contribuenti degli altri stati membri dell'area Euro, seppur distribuite su un prolungato periodo di tempo. Questo significherebbe di fatto la socializzazione dei debiti pubblici che i tedeschi in primis non hanno mai voluto condividere.
La ‘bolla' dei rendimenti negativi
Infine le attese di una normalizzazione dei rendimenti delle emissioni sovrane, oggi per la maggior parte negativi o vicini a zero, in caso di ripresa dell'inflazione trainata dalla stabilizzazione dei prezzi delle materie prime. La lunga discesa dei rendimenti, accelerata soprattutto quest'anno dagli acquisti mensili previsti dal programma di Quantitative Easing, ha generato un enorme capital gain su tutto il range di obbligazioni a tasso fisso e spinto, per effetto della mancanza di redditività dei titoli sovrani, ad una ampia diversificazione del portafoglio con un considerevole aumento di peso degli asset storicamente più rischiosi. Una corsa alla presa di profitto porterebbe non solo un forte aumento della volatilità, ma anche ad un potenziale ridimensionamento delle plusvalenze accumulate e non realizzate.
3 novembre 2016
Corrado Caironi - Investment Strategist di R&CAIl valore dell'investimento o il rendimento possono variare al rialzo o al ribasso; un investimento è soggetto al rischio di perdita. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri.