Cosa deve fare Bruxelles dopo la Brexit
Pubblicato il 30.06.2016
La reazione al voto referendario, che ha visto la maggior parte dei britannici chiedere l'uscita dall'Unione Europea, ha destato un forte risentimento nelle istituzioni. La politica comunitaria poteva fare di più per appoggiare il ‘remain' del primo ministro inglese Cameron; è pur vero che certe decisioni debbano essere lasciate a chi è chiamato a votare. Se da un lato i politici britannici appartenenti al Consiglio e al Parlamento europei non si siano ancora espressi in modo chiaro, la ‘controparte' chiede negoziati veloci e senza sconti. Si deve sottolineare che solo il governo del Regno Unito può formalizzare la richiesta di uscita: il ‘trigger' non ce l'ha l'UE. Gli analisti politici sostengono che i britannici terranno la partita in sospeso senza mollare su tutti i privilegi che questa offre, compresi i lauti stipendi dei politici seduti in parlamento a Bruxelles, compresi quelli dell'Ukip, promotori dell'uscita.
Serve maggiore concretezza
La discussione interna ai paesi Euro trova due aspetti irrisolti; il primo è una domanda: "come è possibile prendere decisioni quanto nel consiglio europeo siedono ancora i britannici, parte integrante decisoria della "stanza dei bottoni"? Il secondo riguarda l'aspetto più burocratico di Bruxelles, ovvero la mancanza di una reazione consistente alla stagnazione economica e l'eccessiva fiducia riposta nella politica monetaria della BCE rispetto a necessarie scelte economiche e fiscali per lo sviluppo nel medio termine. Il nuovo scenario della Brexit, seppure in modo limitato, comporterà sicuramente una revisione al ribasso delle stime di crescita, mentre i dubbi sulla efficacia delle attività nella sede belga in termini economico sociali per il rilancio dell'Europa si ferma davanti a temi come l'immigrazione, perdendo di vista i progetti già approvati.
Il piano di Junker
Sul punto, forse potrebbe essere sufficiente una breve analisi sul piano di investimenti per l'Europa, cosiddetto "piano Juncker", operativo ormai da circa un anno. Definito una delle priorità politiche della del governo Juncker aveva preventivato in tre anni di sbloccare 315 mld di euro di investimenti e aggiungere tra i 330 e 410 mld di PIL, con più di un milione di nuovi posti di lavoro in Europa. Il progetto deliberato dal governo centrale avrebbe utilizzato un mix di risorse finanziarie provenienti dal bilancio centrale e il supporto della BEI per i progetti più rischiosi e innovativi; non ultimo l'obiettivo di rimozione delle barriere di movimento delle risorse nell'UE e di rafforzamento nei sistemi bancari.
European Fund for Strategic Investments (EFSI)
L'attenzione si è concentrata sul fondo europeo per gli investimenti strategici, EFSI, primo pilastro del piano, che offre una garanzia di 16 mld di euro dal bilancio comunitario a cui vengono integrati 5 mld di capitale proprio della BEI. Il regolamento EFSI è stato ufficialmente approvato nel giugno dello scorso anno e ha iniziato a sostenere i primi progetti. Il risultato è che a fine maggio il fondo ha approvato finanziamenti complessivi per 12,8 mld di Euro; la parte più consistente riguarda operazioni di infrastrutture e innovazione, ad oggi 9,3 miliardi di Euro, mentre il 30%, 3,5 miliardi sono stati stanziati per progetti collegati alle PMI. In totale, 64 progetti di innovazione e infrastrutture e 185 accordi di finanziamento per le PMI, piccole e medie imprese. Secondo la BEI e la Commissione Europea, l'investimento dovrebbe innescare 100 mld di indotto, in linea con il piano di sviluppo dei 315 mld di Euro nei tre anni. E' evidente che un'accelerazione diventa essenziale, tenendo conto che questo primo anno non si ancora visto niente di concreto e rimangono solo due anni per vedere il famoso milione di posti di lavoro.
30 giugno 2016
Corrado Caironi - Investment Strategist di R&CAIl valore dell'investimento o il rendimento possono variare al rialzo o al ribasso; un investimento è soggetto al rischio di perdita. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri.