E' forse scesa troppo la fiducia sui Mercati Emergenti?

Pubblicato il 07.10.2015

E' forse scesa troppo la fiducia sui Mercati Emergenti?

Una crescita a passo doppio per gli EM

Le recenti proiezioni di crescita economica per l'intero 2015 sono state leggermente ridotte anche se il Fondo Monetario Internazionale (nell'immagine la presidente Christine Lagard) rimane convinto che il clima globale rimane positivo e che seguirà in ulteriore crescita nel 2016. Le stime sono per un PIL che per i paesi sviluppati salirà nel 2015 del +2% e nel 2016 del +2,3%, mentre per i paesi emergenti del +4% per quest'anno e + 4,6% per il prossimo: insomma una velocità che si mantiene doppia per i paesi in via di sviluppo. Per la verità lo scenario che i mercati azionari tendono ad anticipare sembra un po' diverso; è pur vero che nei recenti anni la situazione finanziaria era stata comunque ampiamente condizionata dagli interventi ultra espansivi delle banche centrali.

Mercato azionari in frenata

Con il rapporto di fine terzo trimestre il quadro delle performance da inizio anno è diventato negativo per molti indici azionari ed in particolare per alcuni dei principali mercati emergenti. L'indice globale MSCI Emerging Markets free local da inizio anno ha perso il 10,31%; nel BRIC, l'indice brasiliano Bovespa ha perso il 9,89%, in Russia l'indice Rts Index ha segnato -0,12%, in India il Mumbai-Nifty -4,02% e in Cina lo Shanghai Composite -5,61%. Tra i principali indici delle aree sviluppate il DJ EuroStoxx è l'unico a presentare da inizio anno una performance positiva con un limitato +1,53%, mentre l'indice globale MSCI World in valuta locale ha perso il 7,3%.

Gli analisti cercano motivazioni

Le analisi che i gestori di portafoglio portano a riscontro di una situazione forse "esagerata" sulle aspettative legate al ribasso del mercati finanziari emergenti, sembrano sostanzialmente ancora deboli per essere prese in seria considerazione dagli investitori. In primo luogo si parla di forti disinvestimenti in uscita dai mercati emergenti che da inizio anno hanno superato i deflussi del 2008; un secondo punto riguarda il calo dei prezzi delle commodities che avrebbero almeno dovuto avvantaggiare i grandi paesi importatori di materie prime e petrolio mentre questi hanno subìto la medesima pressione di quelli produttori e esportatori; in terzo luogo la capacità di riconvertire le esportazioni in consumi interni affidata alle riforme strutturali; infine la crescita economica che nonostante rimanga positiva dopo il recente decoupling tra aree sviluppare ed emergenti vede incertezza sul futuro.

Aprirsi ad una visione di medio termine

Si potrebbe però intendere che le notizie negative siano ormai scontate nelle attuali valutazioni: il rallentamento dei deflussi in questi ultimi giorni ha fornito un segnale positivo agli operatori; anche sulle materie prime alcuni gestori hanno iniziato a fare un distinguo rispetto al complesso mondo emergente nel suo insieme, selezionando i paesi virtuosi. Sul tema dei consumi interni il processo di crescita della classe media nei paesi in via di sviluppo è sicuramente avviato: se nel 2010 la metà delle persone appartenenti alla "classe media" della popolazione era nel mondo sviluppato, entro il 2030 la maggior parte sarà nel mondo emergente. Infine sui temi di crescita economica la partita risulta legata a doppio filo con l'economia cinese e alla sua capacità di rimanerne una guida solida verso i paesi più vicini nei flussi commerciali.

Una volatilità da gestire razionalmente

Dall'analisi si evidenzia che l'espansione monetaria nei paesi emergenti è venuta meno con il rialzo del dollaro statunitense che da un lato ha reso più costoso il finanziamento in valuta forte aperto durante i Quantitative Easing della FED e dall'altro ha forzato un corrispettivo calo dei prezzi delle materie prime. A questo si è aggiunto un affievolimento della crescita economica che ha coinvolto in primo luogo l'area Euro e provocato una svalutazione competitiva della sua moneta. In questa logica si è assistito ad un aumento generalizzato della volatilità. Non è quindi un caso che gli stessi gestori sottolineano che una stabilizzazione del dollaro sia un requisito necessario per le economie in via di sviluppo, per poter far ripartire il processo di rientro dei capitali, e che nello stesso modo ci sia una base per consolidare i prezzi delle materie prime. Inoltre la ripartenza dell'economia euro centrica, come sottolineato dalla BCE, potrà tornare utile nel riequilibrio di espansione.

Insomma la visione dei gestori, dopo un periodo difficile, ritorna costruttiva sulla possibilità che nei prossimi mesi si possano aprire opportunità da valutare con una maggiore visibilità sui tanti punti sotto analisi.

7 ottobre 2015

Corrado Caironi - Investment Strategist di R&CA

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