Gestione passiva con qualche rischio in più per gli ETF Bonds

Pubblicato il 12.05.2017

Gestione passiva con qualche rischio in più per gli ETF Bonds

Il dibattito tra portafogli obbligazionari a gestione attiva e ETF passivi, replicanti degli indici dei bonds, torna ad essere al centro dell'attenzione degli investitori che hanno ravvisato nei primi mesi dell'anno la debolezza del mercato rispetto ai ritorni attesi. Il tema dei costi di commissione di gestione tra portafogli attivi e passivi sembra passato in secondo piano, mentre balzano all'attenzione i rischi di seguire cecamente un indice e i ritorni attesi. Ad esempio un ETF Aggregate Bond UCITS ETF EUR presenta da inizio anno ad oggi una performance negativa di 1,2% rispetto al suo benchmark che segna -0,8% e fondi a gestione attivi che nonostante un commissione di gestione più elevata si posizionano meglio del loro benchmark di riferimento. Secondo gli analisti le cause di questa incapacità dei fondi passivi di posizionarsi sempre meglio dei portafogli a gestione attiva porta con se il cambio di atteggiamento di alcune banche centrali e l'introduzione di politiche monetarie più restrittive.

Rischio di duration e rendimento

Proprio in questa particolare situazione, ovvero con politiche che vedono la banca centrale americana FED aumentare i tassi di interesse, gli investitori si stanno accorgendo quanto possa ‘costare' un aumento dei rendimenti che porta i corsi delle obbligazioni a perdere terreno e generare perdite. Il rapporto che per anni ha visto con il calo del rendimento un valore aggiunto per i titoli a lunga scadenza, nel caso di rendimenti in salita pone un problema di perdite con la necessità di mantenere scadenze brevi per evitare spiacevoli cadute dei corsi dei titoli. Per gli indici su cui si basano gli ETF passivi il caso risulta evidente e mutevole nel tempo. Vediamone un esempio: dieci anni fa il Bloomberg Barclays US Aggregate Bond Index aveva una duration di 4,5 anni (duration è una scadenza media ponderata per i flussi, dato molto sensibile all'andamento della curva dei rendimenti) e un rendimento medio dei titoli inseriti nell'indice di 5,3%. Ad oggi la duration media dei titoli costituenti l'indice è salita a 5,9 anni, mentre il rendimento medio è sceso al 2,6%. Questo esempio sul portafoglio americano si è esattamente ripetuto a livello Globale. Addirittura negli ultimi tre anni, la duration media di uno dei più grandi ETF di obbligazioni internazionali è salita da 6,8 anni a 7,9 anni. Ora è chiaro che se ci fosse un rialzo dei rendimenti ci si troverebbe davanti ad un rischio che gli investitori probabilmente stanno sottovalutando.

Il gestore guardiano del rischio

Ora se le politiche espansive della Banca del Giappone BoJ e la Banca Centrale Europea BCE dovessero seguire le politiche di rialzo della Federal Reserve statunitense, peraltro come in parte indicato da alcuni strategist di portafoglio che vedono nella ripresa dei tassi di inflazione un motivo di cambiamento per le politiche monetarie, i rendimenti potrebbero aumentare esponendo gli investitori a possibili perdite in conto capitale. D'altro canto i portafogli a gestione attiva sganciati dall'obbligo di replicare un indice possono essere implementati da titoli a duration variabile e soggetti ad un controllo rigoroso del rischio di aumento dei rendimenti e di quello di credito concentrandosi sulle regioni e settori che si trovano nelle fasi migliori del ciclo di credito. Gli ETF infatti devono invece replicare l'indice che nel caso internazionale prevede l'inclusione obbligazioni sovrane a rendimento negativo (giapponesi o tedesche). Tra le strategie attive più efficaci permane comunque la diversificazione dinamica che combina obbligazioni governative e altre classi di attivo di credito, meno correlate al movimento dei tassi di interesse o indicizzate all'inflazione. Insomma prima di affidarsi ad un indice è meglio scegliere un bravo gestore.

12 maggio 2017

Corrado Caironi - Investment Strategist di R&CA

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