Il ritorno della volatilità penalizza la Cina

Pubblicato il 16.05.2019

Il ritorno della volatilità penalizza la Cina

Che la partita sulla ‘guerra dei dazi' tra Usa e Cina possa dimostrarsi ancora lunga, e nasconda dietro le finalità commerciali anche temi difficili da negoziare quali la proprietà intellettuale, la tecnologia e forse aspetti militari e di difesa, è ormai chiaro a tutti. Eppure con la fiammata della volatilità, prevalentemente imputata ai tweet del presidente Donald Trump sulle relazioni con Pechino, i mercati finanziari hanno simulato, dopo una forte scossa tettonica, una prova generale di tenuta. La prima ad essere coinvolta è stata la Cina che in poche sedute ha visto una caduta dei listini di oltre il 10% a fronte di una svalutazione dello Yuan verso dollaro Usa del 2,5%. L'indice VIX:IND - Chicago Board Options Exchange Volatility Index, che nel mese di aprile era rimasto intorno a 12 punti, ha superato quota 20 punti il 13 maggio, per poi ritracciare agli attuali livelli di 16,5; anche i listini statunitensi hanno comunque risentito del contraccolpo, con l'S&P500 che dai massimi di 2945 punti è arrivato a perdere in poche sedute 135 punti (- 4,5%).

La posizione sui portafogli di investimento

In questo breve lasso di tempo le reazioni degli strategist di portafoglio non hanno dato particolari segnali di cambiamento nella loro asset allocation, seguendo in generale quello che da tempo avevano indicato ovvero un passaggio verso una composizione del portafoglio azionario con una prevalenza di società di maggiore qualità patrimoniale, grande capitalizzazione e buoni dividendi, e settori difensivi. Infatti la maggior parte delle grandi case di investimento restano overweight/neutral sulle azioni, e neutral/underweight sulla parte obbligazionaria. Viene consigliata invece una diminuzione del rischio in valuta a favore di investimenti in valuta locale: l'idea sembra segnalare l'attesa di un aumento prospettico della volatilità delle monete e dei rispettivi rapporti valutari.

Più attenzione al settore delle Infrastrutture

Nell'ambito del secondo Belt and Road Forum, la Cina ha ospitato alla fine di aprile 37 tra leader e delegati provenienti da 150 paesi e ben 90 organizzazioni internazionali, con una partecipazione molto più elevata rispetto al primo incontro del 2017. L'occasione ha messo al centro le preoccupazioni di diversi paesi africani, asiatici ed europei per l'attivazione di un ampio piano infrastrutturale spesso generatore di alti livelli di indebitamento. La Cina ha suggerito miglioramenti per gli investimenti previsti per il progetto Belt and Road, cosiddetta Nuova Via della Seta a cui l'Italia e l'Europa sono chiamate, un modello di prestito sostenibile che prende in considerazione tutte le opportunità di servizio al progetto e l'apertura ai mercati interni verso l'Asia. Proprio alla fine dell'anno scorso, i leader del G20 avevano deciso di promuovere l'Infrastruttura come attività da implementare con l'obiettivo di attirare più capitale privato a supporto degli investimenti pubblici; il Global Infrastructure Hub ha previsto spese entro il 2040 di USD 14,8 trilioni. A sostenere l'iniziativa, in contrapposizione alla Via della Seta cinese, il Presidente Donald Trump ha espresso la sua volontà per promuovere progetti infrastrutturali e investimenti per 2 trilioni di dollari da attuare negli Stati Uniti; sicuramente un elemento positivo di medio e lungo termine del settore.

16 maggio 2019

Corrado Caironi - Investment Strategist di R&CA

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