L'ottimismo di Wall Street pesa sul Dollaro
Pubblicato il 17.10.2019
Ad inizio anno il tasso di cambio Euro/Dollaro Usa (EUR/USD) negoziava a 1,1465 con un Consensus degli analisti a fine 2019 tra 1,2 e 1,25. Oggi il rapporto vede le due valute scambiate a 1,1040, dopo un recente minimo dell'Euro a 1,0899 il 30 settembre scorso. Gli operatori che scommettevano sulla debolezza del biglietto verde sono sembrati via via meno convinti e molti hanno spostato le loro stime alla fine del prossimo anno in occasione delle elezioni presidenziali statunitensi. Le bizze della valuta americana negli ultimi tre anni sono state comunque marcate da due importanti picchi: 1,0451 del 12 dicembre 2016 e 1,2463 del 29 gennaio 2018, livelli che continuano a definire una banda di oscillazione di ben oltre il 20%, considerata troppo larga per indicazioni tecniche di breve termine. Dopo un ripiegamento con il ritorno sopra 1,10 gli investitori si chiedono quali sono le prospettive del cambio per i prossimi mesi.
Variabili macroeconomiche disattese
I rapporti di cambio, nella loro sintesi macroeconomica e geopolitica, sono alquanto imprevedibili a brevissimo termine, mostrando alcuni periodi di forte volatilità e altri di sostanziale stabilità. Gli analisti hanno dimostrato che le variabili macroeconomiche, che tendono a regolare i tassi di cambio a medio termine (crescita economica, politica monetaria, inflazione e politiche fiscali), si sono mosse in modo diverso dalle attese giustificando l'apprezzamento del dollaro rispetto alla sua svalutazione. In primo luogo i tassi di crescita economica: l'area Euro ha visto durante l'anno una continua revisione al ribasso dei tassi di sviluppo, a differenza di un'economia statunitense in buona forma e una discesa continua della disoccupazione; anche sui tassi di inflazione le prospettive in Europa di raggiungere il target della BCE del 2% sono parse sempre meno realistiche. Le politiche monetarie dell'area Euro e statunitense (BCE e FED) hanno marcato la differenza, tanto che il differenziale dei rendimenti delle due curve dei titoli sovrani hanno continuato ad allargarsi, nonostante il recente atteggiamento espansivo della Federal Reserve: l'accentuarsi dei rendimenti negativi sull'intera curva dei governativi tedeschi è stato per molti versi sorprendente, tanto da spingere la BCE a riaprire il programma di acquisto titoli.
Politiche fiscali
La guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti è parsa poco invasiva, più che compensata dai vantaggi fiscali di Trump e i flussi di rientro dell'industria americana. L'aumento delle tensioni commerciali con l'Europa non ha portato impatti sostanziali al cambio EUR/USD, se non nella rapida svalutazione difensiva dello Yuan cinese dopo l'introduzione dei dazi. Le analisi statistiche hanno dimostrato che a livello storico il dollaro tende a rivalutarsi quando l'economia americana va meglio delle altre economie e in periodi di rallentamento globale sincronizzato, così come rilevato quest'anno. Secondo questi dati statistici il dollaro si indebolirebbe in modo significativo solo in uno scenario di crescita globale sincronizzata. La politica espansiva della banca centrale FED, e lo stimolo monetario che progressivamente potrebbe mettere in campo, dovrebbe quindi vedere un dollaro più debole, ma non nel breve termine.
Wall Street ottimista
Potrebbe risultare che il rafforzamento del dollaro, le distorsioni commerciali causate dai dazi, l'aumento dei costi di produzione e più in generale il rallentamento economico segnalato dagli indici PMI, siano sintomi di un prossimo consolidamento delle valutazioni societarie. Anche le prospettive del terzo trimetre sembrano indicare un'ulteriore contrazione dei profitti di circa il 4,5% per le società dell'indice S&P500. Sono invece ottimistiche le valutazioni delle analisi azionarie, rispetto ai valori delle singole società, nelle indicazioni delle quotazioni obiettivo (Target Price) degli analisti azionari. L'aggregazione dei Target Price elaborati dagli uffici studi, ed indicati nelle raccomandazioni degli analisti, porterebbe il valore dell'indice S&P500 a 12 mesi a 3321,32 punti ovvero più del 10% dai circa 3000 punti attuali. Per informazione dobbiamo anche segnalare quanto si siano rivelate corrette queste previsioni: negli ultimi cinque anni, la differenza media tra la stima del Target Price (valore obiettivo bottom-up alla fine del mese) e il prezzo di chiusura di 12 mesi dopo, è stata del 2,8%; negli ultimi 10 anni è stata del 2,2%, e negli ultimi 15 anni, la differenza media è stata del 9,9%, ovvero decisamente ottimistica.
17 ottobre 2019
Corrado Caironi - Investment Strategist di R&CAIl valore dell'investimento o il rendimento possono variare al rialzo o al ribasso; un investimento è soggetto al rischio di perdita. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri.