Perché le Banche Centrali parlano di Pazienza
Pubblicato il 31.01.2019
Le analisi statistiche indicano nella fase più matura del ciclo di espansione economica, e molte volte anche nella prima parte recessiva, un aumento del tasso di inflazione. Il motivo deriverebbe della solidità di alcune variabili in consolidamento nel trend di sviluppo, quali la bassa disoccupazione, la netta progressione degli utili societari, la crescita degli investimenti, che spingono al rialzo i prezzi al consumo ma anche alla produzione. La storia ci dice anche che questa probabilità di rialzo inflattivo offre il fianco a fraintendimenti nelle decisioni di politica monetaria delle banche centrali, con conseguente aumento della volatilità dei mercati e avversione al rischio degli investitori. L'esempio più noto risulta quello della BCE sotto la guida di Jean-Claude Trichet, che nell'estate del 2008, nonostante le avvisaglie recessive, alzò i tassi al 3,25% indicando un rischio inflattivo incomprensibile, per poi tagliarli velocemente portandoli a fine anno al 2% e nel 2009 allo 0,25%.
La prudenza di Jerome Powell e Mario Draghi
Con l'andamento positivo di economia e mercati, la banca centrale americana, Federal Reserve o FED, ha più volte ribadito la necessità di proseguire nella normalizzazione della liquidità e l'aumento dei tassi di interesse. Eppure più recentemente il messaggio del presidente della FED Jerome Powell è risultato meno incisivo sulla restrizione monetaria enfatizzandone un percorso di ‘pazienza'. Le prospettive sui tassi di interesse sia nell'area Euro che negli Stati Uniti devono fare i conti con una velocità di circolazione della moneta meno vigorosa, dettata dalla frenata del QE - Quantitative Easing (acquisti di titoli sul mercato ed immissione di liquidità da parte delle banche centrali) e l'introduzione di una politica di riduzione dei bilanci delle banche centrali stesse (cosiddetto QT - Quantitative Tightening). Se dunque lo scorso anno si stimavano ancora importanti rialzi dei tassi di interesse per il 2019, le prospettive più recenti trovano consensus per un solo aumento da parte della FED, in parte per stabilizzare l'inflazione, e un ancora incerto il primo rialzo della BCE, forse in conclusione d'anno e di mandato per il presidente Mario Draghi.
La ‘Pazienza' fa bene ai Mercati Finanziari
Mentre gli investitori hanno ritrovato fiducia, convincendosi ancora una volta che il "buy the deep" rimane una strategia funzionale anche in questa fase di avvio alla conclusione del ciclo economico, gli analisti cercano di valutare con più attenzione i dati macroeconomici prospettici più sensibili ai mercati finanziari quali la crescita dei salari, consumi ed investimenti, in relazione alle attese di inflazione. In questo gennaio la volatilità (VIX - Chicago Board Options Exchange SPX Volatility Index) si è riposizionata sotto i 20 punti, dopo il picco di fine anno (24 dicembre era arrivata a 36punti), mentre gli operatori tornano a parlare di una ‘put option' (una copertura contro il ribasso tutta da confermare) generata dalla moderazione restrittiva della FED capace di sostenere, almeno in questa fase, sia il mercato azionario che quello obbligazionario. In questo scenario si inserisce la valutazione dei maggiori listini azionari alla prova dei profitti societari. La ‘stagione degli utili' con i report del quarto trimestre 2018, indicherà anche le previsioni di profitti per il 2019; al momento le stime vedono una crescita degli utili per l'intero anno per l'indice statunitense S&P500 un + 6,5% (che si aggiungerebbe ad un + 19,9% del 2018) e per l'Europa un + 8,5% (+4% nel 2018); dati che se confermati offrirebbero un punto di interesse agli investitori.
31 gennaio 2019
Corrado Caironi - Investment Strategist di R&CAIl valore dell'investimento o il rendimento possono variare al rialzo o al ribasso; un investimento è soggetto al rischio di perdita. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri.