Petrolio chiave per l'inflazione
Pubblicato il 17.05.2017
Mentre i gestori del portafoglio azionario si concentrano in prevalenza sulle future stime di profittabilità, in una fase in cui molti indici di borsa si trovano a ritoccare nuovi massimi storici, i gestori obbligazionari vedono come tema centrale l'andamento delle più importanti variabili macroeconomiche quali tassi di crescita economica ed inflazione, indicatori di potenziale cambiamento della politica monetaria. L'attesa di un coordinamento di più banche centrali, in attuazione di un restringimento monetario, coinvolgerebbe le curve dei tassi di obbligazioni sovrane e corporate, decretandone un processo di normalizzazione e rendimenti nominali al rialzo. Ad oggi solo la Federal Reserve statunitense ha avviato un percorso di rialzo dei Fed Funds soprattutto per effetto di un forte recupero occupazionale: agli 8,8 milioni di licenziamenti tra il 2008 ed inizio 2010, nel periodo successivo e fino ad oggi sono state 16,2 milioni le nuove assunzioni portando il tasso di disoccupazione dal 10% a 4,4% (grafico sottostante). Anche l'inflazione ha avuto un andamento crescente negli ultimi sei mesi: in Usa da +1,7% a +2,2% (con un picco di +2,7% a gennaio) e nell'Area Euro da +0,6% a + 1,9%; ancora in leggero ribasso in Giappone e Cina.
Ampio movimento dei prezzi del petrolio
Sono in molti a ritenere che i prezzi al consumo saranno condizionati dai costi energetici e delle materie prime, oltre che da consumi e reddito disponibile. Nel caso degli Stati Uniti risulterebbe incisivo l'attuazione del taglio di tasse promesso da Donald Trump. Prosegue per questo il dibattito tra i sostenitori di un calo dei prezzi del petrolio per effetto di un aumento dell'offerta statunitense che trova in Donald Trump la possibilità di mantenere forti tutte le fonti di approvvigionamento, comprese le miniere di carbone, e chi invece vede negli incontri tra paesi produttori di petrolio Opec e non-Opec la possibilità di accordi per tagliare la produzione e rivedere prezzi del barile in ripresa. Come sempre saranno domanda e offerta a dettare le regole del mercato insieme alle dinamiche future che già oggi si avvantaggiano di un maggior efficienza nei consumi a parità di risultato. Il brusco calo dei prezzi del petrolio nel 2014 (passato da 105 $/b a 50 $/b) aveva visto un aumento della domanda di petrolio di 2 milioni b/d (barili al giorno) nel 2015, e di 1,6 mil b/d nel 2016. Le stime per il 2017 sembrano comunque trovare un ridimensionamento con aumenti di 1,3 mil b/d e 1,2 mil b/d nel 2018, a fronte di un equilibrio stimato attualmente tra domanda e offerta intorno ai 98 milioni b/d.
Opec cerca una mediazione
Nelle ultime quattro settimane il prezzo del WTI Crude Oil (Nymex) ha avuto un andamento quantomeno altalenante: un mese fa il barile di petrolio trattato sul mercato statunitense valeva 53 $/b, per toccare un minimo il 4 maggio a 45 $/b e riposizionarsi ad oggi a circa 49$/b. La movimentazione del prezzo è stata giustificata dai dati sulle scorte presenti nel sistema (EIA Petroleum Status Report) che evidenziano livelli molto elevati rispetto alle attese degli operatori. I ministri dei paesi produttori appartenenti all'OPEC si sono confrontati per ribadire l'impegno ad un taglio della produzione in accordo anche con i maggiori concorrenti fuori dall'organizzazione onde evitare movimenti repentini dei prezzi e la relativa speculazione. Secondo gli operatori del settore l'attuale livello delle scorte di 522 mil/b di petrolio dovrebbe ridursi a fine 2017 a 482 mil/b in funzione di un necessario aggiustamento della produzione e un leggero aumento dei consumi. La prossima data importante del 25 maggio vede l'incontro dei produttori OPEC a Vienna con l'intento di negoziare i tagli alla produzione e l'obiettivo di riportare il prezzo del petrolio a medio termine sopra i 55 $/b; il mercato rimane attendista.
17 maggio 2017
Corrado Caironi - Investment Strategist di R&CAIl valore dell'investimento o il rendimento possono variare al rialzo o al ribasso; un investimento è soggetto al rischio di perdita. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri.