Politica monetaria ed inflazione
Pubblicato il 13.02.2015
Banche Centrali ancora espansive
Nonostante il buon andamento economico le autorità monetarie continuano nella loro funzione ultra espansiva, adottando la ormai nota ‘politica a tasso zero', mentre nel mercato finanziario oltre la metà dei debiti pubblici hanno rendimenti ai minimi storici e quelli ad alto rating addirittura negativi. La chiave di volta di questa soluzione è legata ai timori di deflazione o comunque di un'inflazione imbrigliata a bassi livelli dalle più importanti banche centrali (FED, BCE, BoE e BoJ), ormai da anni sotto i target strategici del 2%. Questa strategia monetaria che vuole promuovere una accelerazione degli investimenti, ma anche dei consumi personali, ha come punto di riferimento la lotta alla disoccupazione; negli Stati Uniti, prima economia ad attuare una politica monetaria basata sull'immissione diretta sul mercato di liquidità tramite operazioni di acquisto titoli da parte della banca centrale FED, i risultati sono evidenti: dal 2010 ad oggi il tasso di disoccupazione è passato dal 10% al 5,6%.
Modello di rilevazione dell'inflazione
La preoccupazione che gli investitori stanno maturando è però centrata sui bassi livelli di rendimento raggiunti dalla maggior parte del mercato obbligazionario; una vampata inflattiva potrebbe creare un terremoto nel sistema finanziario, rimettere in discussione la politica della banche centrali, ma soprattutto creare perdite importanti nei portafogli finanziari. A questo avviso si aggiunge il giudizio degli economisti sostanziato dal mancato cambiamento dei misuratori che rilevano la variazione di valori/prezzi, limitandosi ai prezzi ai consumi (CPI) e di spesa personale (CPE) accantonando completamente il riferimento alla ciclicità dei prezzi delle altre attività finanziarie che con le loro oscillazioni hanno manifestato enormi oscillazioni nei bilanci familiari e potrebbero essere state in gran parte le cause delle ultime recessioni. Il dato valutato dalle analisi degli economisti negli ultimi quindici anni trova un tasso di inflazione ‘Core' con una volatilità estremamente bassa rispetto alla volatilità della crescita economica rilevata dal GDP nominale e ancora di più da quella di attività quali le valutazioni azionarie quotate detenute dalle famiglie e quella dei valori immobiliari. Infatti i prezzi presi a riferimento dalle banche centrali per le loro iniziative di politica monetaria sono gli indici CPI ‘core' che non tengono conto dei costi energetici e alimentari e che ancora di più risultano avulsi dai cicli di breve termine.
Prospettive da monitorare
La critica degli economisti verte quindi sulla necessità di tenere conto nelle decisioni di politica monetaria degli squilibri che impattano settori economici diversi e mercati finanziari, oggi non rilevati dall'inflazione così misurata e che potrebbero rendere sempre meno "prevedibile" l'impatto di intervento monetario rispetto a quanto stimato. Tema quindi molto caldo per gli analisti finanziari che temono un riaccendersi della volatilità sui mercati finanziari a causa di un mancato controllo dei risultati dopo gli interventi quale impatto sull'economia reale, mentre le banche centrali si sentirebbero tranquille dal solo fatto di essere in target sui dati inflattivi rilevati.
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