Previsioni economiche condizionate dalla geopolitica
Pubblicato il 17.06.2016
Sembra ormai banale ribadire che il risultato del referendum britannico sulla permanenza o meno nell'Unione Europea del Regno Unito, e i dubbi per il MEC (Mercato Unico Europeo), avrebbero un'incidenza sulla crescita economica dell'area Euro, oltre ovviamente alla Gran Bretagna; ci si domanda quali sarebbero le posizioni sugli accordi commerciali e finanziari se Londra dovesse scegliere la via extracomunitaria. I politologi hanno già definito un'eventuale uscita della Gran Bretagna come un rafforzamento germano-centrico del potere politico e un chiaro sbilanciamento nei rapporti tra i paesi Unione Europea; che tutto sommato la Brexit favorisca i tedeschi è evidente nei preparativi di alcuni banche internazionali che sposterebbero obtorto collo i loro uffici da Londra a Francoforte.
Incertezza sulla crescita economica
Al di là dei movimenti di brevissimo termine legati agli esiti incerti del referendum Brexit e delle elezioni in Spagna, è interessante analizzare le risposte degli investitori istituzionali recentemente interpellati sulle loro scelte di portafoglio in una visione a dodici mesi. Il punto di maggior preoccupazione rimane la crescita economica globale, quale motore essenziale per una visione dei mercati finanziari e delle performance dei portafogli.
Stime difficili fuori dai trend
Rimane tra le evidenze la difficoltà di produrre previsioni attendibili anche solo per pochi trimestri. Gli esempi precedenti più immediati sono per i dati di consenso dello scorso anno su alcune stime degli operatori finanziari: nessuno ipotizzava per il 2016 tassi di rendimento per i governativi statunitensi a 10 anni inferiori all'1,4%, la rivalutazione della valuta giapponese, la discesa del rendimento del governativo tedesco a 10 anni sotto lo zero, la ripresa degli indici dei paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), la caduta del petrolio a quota 26$B …
Valutazione finanziaria neutrale
Nell'analisi attuale delle risposte in aggregato ci sono comunque segnali che indicano un nervosismo di fondo. Mentre un terzo degli intervistati si dichiara per un portafoglio neutrale quale preferenza a 12 mesi, il 58% è oggi in sovrappeso di attività più rischiose, mentre solo il 14% risulta in sottopeso. I dati interessanti vedono affidare la preferenza per i prossimi 12 mesi agli attivi azionari, per il 55% degli intervistati e alla liquidità, il 15%; un anno fa erano rispettivamente il 70% e 7% a favore del cash. La valutazione rispetto alla lettura delle risposte, dimostra che la performance negativa dei portafogli più aggressivi sta aggiungendo apprensione alle decisioni, spostando le prospettive verso una posizione di cautela.
Dubbi tra Asia e Stati Uniti
Le prospettive a dodici mesi sul piano economico trovano un ampio consenso per una migliore capacità di ripresa dell'area Euro, che da più trimestri viene vista dagli operatori in grado di uscire dalle sabbie mobili, soprattutto per il supporto e l'intensificazione degli interventi della Banca Centrale Europea. In contrapposizione le economie su cui gli operatori vedrebbero crescere le incertezze sono la Cina e gli Stati Uniti; nel primo caso il tema riguarda la capacità di tenere il passo nonostante un settore finanziario appesantito dalle sofferenze in aumento, mentre l'economia statunitense sembra avere meno forza in un ciclo ormai maturo. La preoccupazione di una economia che torni a rallentare nei paesi sviluppati sembra quindi il rischio maggiore a dodici mesi, accompagnato da problemi geopolitici; infine alla domanda quanto potrà impattare il nuovo presidente negli Usa sul mercato azionario, il 55% degli operatori risponde "solo marginalmente".
13 giugno 2016
Corrado Caironi - Investment Strategist di R&CAIl valore dell'investimento o il rendimento possono variare al rialzo o al ribasso; un investimento è soggetto al rischio di perdita. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri.