Quanto Trump può spingere gli indici azionari statunitensi?
Pubblicato il 13.12.2017
Le attività dei gestori sembrano avviarsi verso il periodo di rallentamento classico delle festività natalizie e di inizio anno. I flussi di investimento mostrano comunque che la capacità degli Stati Uniti di attrarre capitali di rischio non sembra esaurirsi, nonostante l'atteggiamento monetario meno espansivo programmato della banca centrale FED. I dati macroeconomici si rilevano sopra le attese e in progressione nel loro trend di crescita; lo dimostrano in primo luogo i recenti dati sul mercato del lavoro e un tasso di disoccupazione ai minimi storici del 4,1%. Dal lato del mercato finanziario gli indici americani segnano da tempo nuovi livelli record, senza per questo indicare segnali di stress: da inizio anno le performance vedono il Nasdaq100 a + 31%, DJIA a + 23% e l'indice S&P500 a + 19%. Il dato più eclatante è che il mercato azionario sta salendo senza sosta dal 6 marzo del 2009, all'interno di un ciclo economico che ne rispecchia esattamente l'espansione, e favorito da una politica monetaria ultra espansiva che sembra comunque volgere al termine.
I listini USA anticipano la riforma fiscale di Trump
Uno dei temi più interessanti sottoposto dagli analisti è quello delle valutazioni. Anche se in concreto non viene pronunciata ancora la domanda: "Bolla di mercato?" gli esperti sottolineano due eventi straordinari che giustificherebbero la tenuta del trend rialzista ovvero: a) la crescita economica sincronizzata a livello globale non può che favorire l'avanzata degli utili aziendali, soprattutto per le società americane multinazionali; e b) il contesto favorevole determinato dalla riforma fiscale che mette al primo posto il taglio delle imposte sulle società, su nuovi investimenti e il rimpatrio dei capitali. Come sottolineato dagli economisti repubblicani la riforma di Trump sembra ancora più efficace rispetto alle esperienze precedenti perché focalizzata sul sistema produttivo ed il rilancio delle infrastrutture interne al paese, in molti casi ormai obsolete. Trump oltretutto vuole che i benefici ricadano principalmente sulla società statunitensi e per questo ha chiesto una revisione dei trattati commerciali e aperto nuovi accordi bilaterali (TPP, Parigi, NAFTA, Cina, Giappone, UK).
Valutazioni da rettificare per l'indice S&P500
Dal punto di vista numerico gli analisti si stanno soffermando sugli impatti della riforma fiscale in relazione alle attuali valutazioni che già in parte stanno incorporando i benefici fiscali del nuovo contesto, una volta approvata la legge dal Congresso. Ad oggi i due rapporti di calcolo più significativi mostrano valori sopra la media storica; ad esempio il Current S&P 500 Price to Book Value risulta di 3,33 rispetto ad una media dal 2000 di 2,75 con un minimo di 1,78 nel marzo 2009 e un massimo di 5,06 nella bolla della ‘new economy' del marzo 2000. In termini di rapporto Prezzo/Utili aggiustato per il ciclo (Shiller P/E - Price/Earnings) anche in questo caso il rapporto risulta cresciuto molto negli ultimi anni: il Current S&P 500 Shiller P/E ratio risulta di 32,27x rispetto ad una media storica da sempre di 16,15x con un minimo di 4,78x nel dicembre 1920 e un massimo di 44,19x nel dicembre 1999. A fronte della riforma fiscale le cose potrebbero cambiare; gli studi condotti vedono, a parità del livello di profittabilità del business attuale, un aumento degli utili aziendali nel 2018, in conseguenza del taglio delle imposte societarie dal 35% al 20%, di circa il 12%. Tenendo conto di questo, il rapporto P/E andrebbe ovviamente rivisto e corretto anche in relazione ad un'opportunità di manovra nella gestione strategica della maggiore liquidità disponibile generata nel tempo e favorevole a nuovi investimenti e dividendi.
13 dicembre 2017
Corrado Caironi - Investment Strategist di R&CAIl valore dell'investimento o il rendimento possono variare al rialzo o al ribasso; un investimento è soggetto al rischio di perdita. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri.