Super Euro o Mini Dollaro?
Pubblicato il 26.01.2018
La svalutazione del dollaro US contro Euro dal livello minimo di cambio del 16 dicembre 2016 a 1,0494 all'1,25 toccato ieri è pari a circa il 20% e questo in poco più di l2 mesi; questo significa che per un investitore italiano un investimento denominato in dollari ha reso esattamente il 20% in meno che in Euro. L'informazione può essere completata con un orizzonte di medio termine: chi aveva investito in attività finanziarie in dollari nel 2014, quando il tasso di cambio EUR/USD era rimasto per un lungo periodo vicino a 1,40, avrebbe ottenuto durante i giorni dell'elezione di Trump a fine 2016, a cambio di 1,05 un profitto da rivalutazione del 25%. Insomma sapendo che i nostri portafogli di investimento sono spesso diversificati e bene fare attenzione alla parte investita in valute diverse dall'Euro.
La guerra delle svalutazioni
Torna la guerra sulle valute? In effetti il tema delle svalutazioni competitive l'avevamo lasciato al margine della discussione quando la banca centrale cinese PBoC chiese ufficialmente di entrare a far parte del paniere delle valute utilizzate dal Fondo Monetario Internazionale per il calcolo dei diritti speciali di prelievo, aprendosi all'oscillazione dei tassi di cambio fino ad allora controllati dalle autorità monetarie locali. Lo stesso era successo nelle discussioni tra gli Stati Uniti e la svalutazione dello Yen giapponese. Ma ora il movimento valutario più importante si è spostato dall'Asia nell'Area Euro; in pochi mesi le oscillazioni sono diventate molto ampie spostando in modo deciso sia i prezzi delle materie prime che i flussi di investimento, ma soprattutto sui futuri impatti concorrenziali.
La BCE non commenta
Il Presidente della BCE Mario Draghi non commenta il livello del tasso di cambio, il futuro impatto previsto sull'inflazione e la competitività sul commercio internazionale dovuta al rialzo dell'Euro rispetto al dollaro US, in contrapposizione alle indicazioni del ministro del tesoro statunitense Steven Mnuchin che intervenendo al World Economic Forum di Davos ha espresso come positivo per gli Stati Uniti la debolezza del valuta statunitense. Il mancato commento della BCE ha infatti visto il balzo del rapporto EUR/USD oltre quota 1,25. Come più volte ribadito dagli operatori, vedere una BCE riluttante a fornire informazioni sui livelli EUR/USD, intenzionalmente o meno, sembra peraltro lasciare aperto l'avanzata strutturale dell'Euro in una fase in cui la politica monetaria parla di "normalizzazione" dei rendimenti obbligazionari. Mentre vediamo diverse ragioni che stanno condizionando l'atteggiamento degli operatori nel breve termine le attese di medio termine rimangono altrettanto difficili da definire e le indicazioni degli analisti a breve molto variegate.
Fattori macroeconomici convergenti
Se da un lato la politica restrittiva della FED, la buona capacità di crescita economica e le attese di rialzo dell'inflazione in Usa vedevano favorito fino a pochi mesi fa il rialzo del dollaro, oggi la riflessione degli investitori vede una crescita economica nell'area Euro sopra le attese, la forte volontà della BCE di raggiungere i target di inflazione e la correzione dei titoli di stato statunitensi che genera importanti flussi di liquidità alla ricerca di nuove opportunità di investimento fuori dal dollaro. Quale a questo punto potrebbe essere un punto di equilibrio? Da un punto di vista statistico una analisi dello scorso anno mette in luce che il rapporto tra le due valute EUR/USD vede una media dal 1999 di 1,21 e di 1,30 dal 2005.
26 gennaio 2018
Corrado Caironi - Investment Strategist di R&CA
Il valore dell'investimento o il rendimento possono variare al rialzo o al ribasso; un investimento è soggetto al rischio di perdita. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri.