Trump vuole tassi negativi dalla FED

Pubblicato il 14.05.2020

Trump vuole tassi negativi dalla FED

Nonostante in Giappone si fosse consolidata da tempo l'ipotesi che per effetto di deflazione e stress economico si rilevassero tassi di interesse negativi, è stato invece Mario Draghi nel giugno del 2014 ha introdurre per la prima volta nella storia la decisione di applicare un tasso negativo sull'eccesso di depositi presso una banca centrale, nel caso specifico la Banca Centrale Europea. La politica dei tassi negativi (NIRP - Negative Interest Rate Policy) è quindi divenuta uno strumento di allentamento monetario ufficiale permettendo oltremodo che il rendimento di gran parte dei titoli governativi dell'area Euro continuasse a negoziare sempre più in basso: inutile sottolineare che la profondità del rendimento negativo è affidata alla qualità di rating e alla duration. La penalità per gli investitori di investire in titoli governativi, come il Bund tedesco decennale che oggi si ‘prende' lo 0,6%, è definita ‘repressione finanziaria' e se da un lato ha la funzione di mettere in sicurezza l'investimento dall'altro in pratica finanzia un debito pubblico ripagandolo nel tempo.

Nessun limite al debito!

Questa politica monetaria dei rendimenti negativi piace molto al Presidente degli Stati Uniti Donald Trump che continua a criticare la FED perché anche i Treasury statunitensi possano adottare questa strategia. Infatti la politica della FED sta diventando molto espansiva, ma anche parecchio ‘onerosa'. In primo luogo la decisione di non porre limiti al Quantitative Easing pone in prospettiva una difficile tenuta della pendenza delle curve, e l'estensione degli acquisti tramite ETF di titoli spazzatura (High Yield) ha forse erroneamente adottato un consenso sulla quantità di nuove emissioni e all'idea che non c'è limite al debito! Proprio il Tesoro americano ha appena annunciato che prevede un ritmo di emissione di 3 trilioni di dollari a trimestre, a fronte dei circa 800 mld USD previsti precedentemente. E' anche vero che la FED da settembre scorso ha continuato a finanziare REPO per oltre 1500 mld USD con l'intento di mantenere un livello ottimale di liquidità nel sistema. Il tema è chi sottoscriverà una tale quantità di governativi se non la FED, e in questo caso a quali tassi, anche se il mercato finanziario internazionale sembra ancora interessato alla valuta statunitense con il Dollar Index intorno a 100 punti.

Tassi negativi in Usa

Negli Stati Uniti sul mercato future della liquidità, con scadenze autunno e primavera 2021, si sono manifestate alcune operazioni a tassi negativi con acquisto sopra 100. La rilevazione ha destato subito l'idea che alcuni operatori stiano scommettendo sul futuro cambiamento di rotta di Jerome Powell, presidente della banca centrale, che ha di nuovo riaffermato la sua contrarietà ad adottare tassi negativi e chiesto nuovi interventi di sostegno a Trump. Secondo studi della banca centrale americana i sintomi della NIRP non sono sufficientemente positivi, mostrando la difficoltà del sistema bancario nel modello di finanziamento, e nel disincentivare il risparmio americano, già tra i più bassi al mondo. Infatti l'adozione dei rendimenti negativi non si è rivelata un fattore positivo nel mercato azionario europeo che ha visto il crollo delle quotazioni del settore bancario. E' però vero che collocare titoli governativi a rendimenti negativi sarebbe veramente un'ottima occasione per il bilancio federale. Il governo potrebbe sentirsi svincolato dalla pressione di limitare iniziative fiscali attraverso la monetizzazione del debito da parte della FED e a rendimento negativo: insomma un sogno per Trump prima delle elezioni.

Dollaro e inflazione Usa

A fare breccia nell'ipotesi che durante l'estate la FED si pieghi all'idea di introdurre un taglio dei FED Funds, andando in negativo, è che questa operazione possa in qualche modo spingere il Dollaro nella direzione opposta al rafforzamento. Il forte calo della domanda finale e l'impennata della disoccupazione negli Stati Uniti vede un calo dell'inflazione, e un aumento di timori deflazionistici (CPI Usa -0,8% in aprile). Questo effetto potrebbe essere mitigato da un dollaro meno forte o meglio ancora con prospettive di svalutazione. In realtà l'introduzione di tassi negativi da parte di una banca centrale non è garanzia di una corrispettiva svalutazione della divisa, in questo caso l'esempio è stato quello dello Yen giapponese. In termini macroeconomici la parziale sospensione delle attività economiche per il Coronavirus sembra protrarsi ancora per qualche mese con danni ancora tutti da stimare e in ogni caso una svalutazione del dollaro potrebbe sicuramente aiutare l'economia statunitense. Secondo le dichiarazioni di Powell, la ‘palla' è in mano all'amministrazione Trump, mentre gli interventi della banca centrale sembrano al momento più che sufficienti. Anche fuori dagli Usa c'è apprensione per un ulteriore rafforzamento del dollaro: un calo del biglietto verde troverebbe consensi soprattutto nei paesi indebitati in valuta forte, come molte economie emergenti.

14 maggio 2020

Corrado Caironi - Investment Strategist di R&CA

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