Usa, la FED pensa all'inflazione

Pubblicato il 27.02.2017

Usa, la FED pensa all'inflazione

L'avanzata dei prezzi e dei salari infastidisce la banca centrale americana tanto che sono aumentate le probabilità di un aumento dei tassi di interesse nella riunione del Fomc, il comitato esecutivo della Federal Reserve, del 15 marzo prossimo. Il tema a livello globale non è invece così evidente e molti pensano ancora che l'inflazione sia moribonda e che la deflazione ormai abbia preso il suo posto per un periodo prolungato. Infatti dal lato dell'offerta di beni e servizi i prezzi al consumo sono scesi dopo gli enormi investimenti processati dal 2000 e per conseguenza di due fattori chiave tra loro combinati tecnologia e produttività. L'inflazione ha subìto un crollo anche dal lato della domanda con la crisi post subprime con un picco della disoccupazione statunitense sopra il 10%, estesa anche in Europa.

Il barile guida i prezzi al rialzo

A farne le spese negli anni scorsi sono state in primis i prezzi delle materie prime, e ancora più importante, la quotazione del petrolio che dodici mesi fa aveva ampiamente rotto al ribasso il supporto di 30$ per barile. Oggi lo scenario è molto diverso. La disoccupazione negli Stati Uniti è tornata sotto il 5% e il barile di petrolio è raddoppiato dai minimi della scorsa primavera. I tassi di inflazione si stanno alzando in tutto il mondo; ecco le ultime rilevazioni: Usa + 2,5% (era all'1% nel gennaio 2016), Area Euro +1,8% (-0,2%), Giappone +0,3% (-0,1%) e Cina +2,5% (+2,3%). La spinta reflattiva delle banche centrali ha sicuramente svolto il suo ruolo tanto che la FED statunitense ha ormai esaurito la fase espansiva ed iniziato quella restrittiva. Come rappresentato, i fattori chiave dell'inflazione Usa stanno accelerando, a partire dai salari; la crescita delle remunerazioni lavorative nella crisi postfinancial era rimasta in sordina, mentre ora la tendenza sta lentamente cambiando: seppur limitato rispetto agli standard storici (+6,29% annuo dal 1960 al 2016), la media oraria degli stipendi è in aumento del 3,57% anno su anno, dato a fine anno 2016, comunque il passo più veloce dalla primavera del 2009.

Cambio di strategia negli Stati Uniti

Gli Strategist di portafoglio sono convinti che, nonostante la prudenza degli economisti sul trend futuro dei prezzi, sia utile osservare questo fenomeno e al possibile impatto negativo riguardo ad alcune asset class. In particolare i gestori obbligazionari statunitensi ritengono opportuno usufruire del calo dei rendimenti per diminuire la duration dei governativi e posizionarsi su titoli a tasso variabile. Per la parte azionaria la preferenza vede un aumento dei titoli finanziari, peraltro già molto rivalutati, a fronte di una diminuzione del peso di Utilities e Consumer Staples. In Europa la situazione sembra prematura; il tasso di inflazione rimane sotto il target della BCE del 2% (solo la Spagna presenta +3%), e la politica del Quantitative Easing continuerà nel suo processo di acquisto di 60 mld di titoli al mese fino a fine anno. Come sempre l'estate sarà il periodo più critico anche perché superate le elezioni in Francia nella tarda primavera ci saranno quelle in Germania ad inizio autunno.

27 febbraio 2017

Corrado Caironi - Investment Strategist di R&CA

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