Usa: nuove prospettive sui Titoli di Stato

Pubblicato il 18.10.2017

Usa: nuove prospettive sui Titoli di Stato

Mentre dalla Cina, con l'apertura del 19° Congresso Nazionale del partito Comunista, ci si attende una maggiore attenzione alla globalizzazione, la situazione negli Stati Uniti riparte dalla politica fiscale interna che non è ancora riuscita a realizzare le promesse elettorali nell'amministrazione Trump. Il presidente cinese Xi Jinping, Segretario Generale del Partito Comunista cinese, è alla ricerca di nuovi equilibri internazionali che riportino fiducia ed investimenti esteri nella seconda economia mondiale. Le linea guida, attese nei prossimi giorni alla conclusione dei lavori a Pechino, potrebbero essere per un rafforzamento delle strutture produttive interne, magari con operazioni di M&A - fusioni e acquisizioni, e di accelerazione del processo di liberalizzazione del mercato finanziario per meglio attrarre i flussi internazionali. Negli Stati Uniti, Trump cerca invece di spingere sulla ristrutturazione della spesa del sistema sanitario ed aprire la porta ai tagli di tasse promessi. Le due più importanti economie mondiali si sfidano con tassi di sviluppo molto diversi e sono ormai pronte ad un confronto aperto. Il Presidente Trump ha infatti programmato una visita in Cina per l'8 novembre prossimo per gestire l'attrito prodotto in questi ultimi mesi e discutere su temi internazionali e dazi commerciali.     

Gli Stati Uniti vogliono più crescita economica

Analizzando gli ultimi trimestri si scopre che negli Usa il PIL, prodotto interno lordo, è rimasto ingessato con avanzamenti anche inferiori al 2% nonostante ci sia stato un ottimo andamento del mercato del lavoro e un sostanziale aumento della fiducia travasata nelle valutazioni del mercato azionario ai massimi storici; il nodo sembra la mancata trasmissione della crescita degli utili societari sul monte salari, percepibile dalla moderata inflazione. Secondo alcuni economisti la curva ormai ‘piatta' che dovrebbe mettere in contrapposizione i tassi di disoccupazione e l'inflazione, mostra da tempo una rottura con il passato. La relazione economica studiata dalla curva del neozelandese Alban William Phillips negli anni cinquanta, ripresa nel 1960 da Paul Samuelson e Robert Solow per spiegare gli effetti dell'aumento di inflazione a fronte del calo della disoccupazione, sembra superata dall'entrata in campo della tecnologia che ha mitigato i salari aumentando la produttività, in uno scenario di aumento occupazionale. A questo si sono aggiunte nuove forze direzionali apparentemente più chiare sui prezzi: la prima riguarda l'ottimizzazione dei consumi di materie prime, la seconda l'introduzione della sharing economy nei servizi ed la terza rappresentata dall'aumento verticale di recupero e riciclo, base fondante per l'economia circolare.

L'inflazione guida i tassi di interesse

Il petrolio, ormai identificato come il driver dei prezzi, rimane nell'incertezza sapendo quanto la politica in questo settore abbia un'influenza diretta. Il crollo del greggio da oltre 100 $b a 40 $b arrivato nel 2014, lontano dalla recessione e deflazione del 2009, intravedeva una domanda meno brillante e un'offerta abbondante guidata dagli Usa. Ora i grandi produttori corrono al riparo tagliando per quanto possibile la produzione. Tutto il mondo delle materie prime aveva comunque avuto investimenti infrastrutturali esponenziali sulla domanda di urbanizzazione cinese che ora sembra meno pressante. Se quindi l'inflazione rimane moderata in uno scenario di medio termine sembrerebbe inutile ritenere la stabilità dei tassi di interesse bassi un problema, così come la produttività mantiene in linea salari ed occupazione. Ma queste forze quanto ancora potranno continuare?

Impatto sui rendimenti obbligazionari in Usa

Ci sono tre fattori chiave tra loro strettamente correlati che in questi ultimi anni hanno reso alquanto difficile la previsione degli strategist sui rendimenti obbligazionari ed in particolare sui titoli di stato statunitensi: crescita economica, occupazione ed inflazione. In questo ultimo periodo dell'anno il fattore chiave sembra la crescita economica Usa per i trimestri a venire: la ricostruzione, dopo gli uragani devastanti dell'estate in Texas, Florida e Puerto Rico e l'impatto negativo atteso nel terzo trimestre, avrà modo di espandersi fino ai primi mesi del prossimo anno. Pensando che l'occupazione sia ormai giunta ad un livello ottimale, nel 2018 ci potrebbero essere novità dal lato inflazione, con un leggero aumento. I gestori di portafoglio statunitensi ritengono che le prospettive di crescita economica positiva e di inflazione creino aspettative monetarie restrittive con una Fed che aumenti i tassi nel meeting di dicembre e due volte nella prima metà del 2018. Secondi gli stessi gestori, il percorso intrapreso di riduzione del bilancio da parte della banca centrale combinato con l'aumento dei Fed Funds spingerebbe i rendimenti dei titoli del Tesoro decennali al 3,25% entro la fine del 2018, contro l'attuale 2,33%, con un ridimensionamento del capital gain degli ultimi anni.

18 ottobre 2017

Corrado Caironi - Investment Strategist di R&CA

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